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sabato 16 settembre 2017

NICO, 1988

di Matteo Marescalco

E' toccato a Susanna Nicchiarelli il compito di aprire la sezione Orizzonti della 74esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. La regista romana torna dietro la macchina da presa dopo il promettente esordio Cosmonauta e La scoperta dell'alba.

A passare sotto la lente della Nicchiarelli sono gli ultimi anni di vita di Nico. O, meglio, di Christa Päffgen, la donna dietro l'icona che viene ricordata per aver suonato con i Velvet Underground, per essere fiorita nella factory di Andy Warhol e, ancora, per aver condotto una relazione con Jim Morrison dei The Doors. Nel 1986, Christa si confronta con i fantasmi del proprio passato: con il proprio corpo, ormai vittima del baratro delle droghe, trasformato dall'eroina, con una chioma bruna lontana un miglio dal biondo acceso che ha caratterizzato i suoi anni eroici, con l'insuccesso del tour sgangherato che ha condotto la cantante fino ad Anzio.

Il film si apre con Nico bambina che fissa da lontano le luci che illuminano la città di Berlino. Peccato che si tratti solo dei bagliori della distruzione della fine della seconda guerra mondiale. Le tenebre esistenziali della fine di Berlino costituiranno il leitmotiv delle sensazioni e delle emozioni provate da Christa negli anni a venire. E, soprattutto, della sua produzione artistica, belva famelica su cui tanta influenza ha avuto anche il suo tono vocale graffiante e ferino.

Nico, 1988 si allontana dalla costruzione tradizionale di un classico biopic: è privo del suo tono elegiaco che riduce tutto a lustrini e a superficialità, scegliendo di aderire quanto più possibile ad un personaggio che, alla fine della propria vita, prova anche a ricostruire il rapporto con il figlio dalle tendenze suicide. La Nicchiarelli approfitta del vuoto documentaristico su questo periodo di vita di Nico per comporre un ritratto libero e privo di freni inibitori, incatenato tra i margini di un'inquadratura scura che lascia poco spazio alla liberazione finale. Christa, attraverso l'ausilio di dispositivi tecnologici, prova a tornare indietro nel tempo, alla ricerca di un suono perduto, del momento in cui la sua vita ha assunto un andamento irrimediabilmente discendente. Verso frammenti di un tempo che affiorano con costanza ma che riescono ad affermarsi solo superficialmente. 

In questa ricostruzione sui generis, non mancano sequenze che restituiscono il piacere dei viaggi lisergici compiuti da Christa e della liquefazione della sua identità, in preda ad un delirio baccantico che ha dato forma alla sua esistenza. Nico, 1988 è una mosca bianca nel panorama cinematografico italiano, un atto di coraggio produttivo oltre che di sapienza formale. Un film vivo ed imperfetto. Un po' come Christa, in fin di vita ma vogliosa, fino all'ultimo di ripartire e riprendere la strada.

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