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venerdì 2 giugno 2017

BAYWATCH

di Matteo Marescalco

Dwayne Johnson è il dio assoluto di Baywatch: del film e della spiaggia di Emerald Bay. Il suo Mitch Buchannon è un ex militare che lavora come bagnino, affiancato da un team di superuomini tutti muscoli (con l'eccezione dello sfigato e cicciotello Ronnie) e di superdonne in formissima e dalle tette che ballano durante ogni corsa in spiaggia (ma meno del previsto). Perchè al centro di questo film che porta al cinema la serie televisiva trasmessa dal 1989 al 2001 è, più di ogni altra cosa, il corpo maschile, mandato in scena senza la minima vergogna. 

Quello dell'ex wrestler trasformatosi in uno degli attori più pagati e redditizi del momento, una montagna di muscoli che fa sfoggio di sè stessa durante ogni prova fisica, inseguimento e persino in occasione delle scene più ironiche: Mitch, infatti, si assicura che ogni statua scolpita nella sabbia della spiaggia lo rappresenti dotato di organi genitali ben in vista; altrettanto centrale è il corpo di Zac Efron, l'ex ragazzino prodigio osannato dalle teenager in High School Musical, qui validissima spalla comica di Johnson, nei panni di Matt Brody, campione olimpico caduto in disgrazia, che non sa cosa sia il lavoro di squadra e che l'arco evolutivo provvederà a redimere. E, infine, il corpo di Ronnie: il ragazzo è grasso ma si applica e, come ogni nerd che si rispetti, avrà la sua occasione con la pupa del gruppo. Nella prima mezz'ora del film, è proprio Ronnie il protagonista di una gag che lo vede con il pene incastrato tra le fessure di un tavolo (inevitabile pensare al Ben Stiller di Tutti Pazzi per Mary dei fratelli Farrelly). 

Sembra sottinteso quanto sia infruttuoso scagliarsi contro un prodotto del genere, consapevole dell'elevato livello di trash che lo caratterizza. Risiede proprio in questa consapevolezza, nella capacità di Baywatch di giocare con sè stesso e con le aspettative degli spettatori (che nel film troveranno i Farrelly, una crime story abbozzata, riferimenti al precedente episodio, con un pizzico di Superbad di Judd Apatow), la qualità che rende il prodotto privo della benchè minima goffaggine. Il film di Seth Gordon è orgoglioso di essere tamarro, di trasferire l'estetica supereroistica di Fast & Furious sulle spiagge americane. I protagonisti credono in sè stessi, nel lavoro di gruppo, si scagliano contro l'edonismo individuale, infischiandosene di chissà quale eleganza nella struttura narrativa del racconto. 

Preso con consapevolezza, Baywatch non delude le aspettative. Fin dai meravigliosi titoli di testa, manifesto programmatico dell'operazione commerciale costruita sopra le spalle di Dwayne Johnson. Non è contro un cinema del genere (che porta a compimento ogni storyline, probabilmente ingenuotto ma sempre candido e in buona fede, fracassone ma dal cuore d'oro) che va indirizzato il nostro odio. Per quello, ci sono i molteplici prodotti freddi e privi di anima che affollano (inutilmente) le sale cinematografiche dall'inizio alla fine dell'anno.

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