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mercoledì 2 novembre 2016

OASIS: SUPERSONIC

di Matteo Marescalco

«Credo che il concerto di Knewborth sia stato l'ultimo grande evento pubblico prima della diffusione capillare di Internet. Da quel momento in poi, i concerti sono cambiati, tutti hanno potuto accedere alle canzoni tramite Internet, niente è più stato come prima». Le parole di Noel Gallagher collocate all'inizio e alla fine di questo documentario dedicato alla rapida ascesa degli Oasis chiudono il cerchio (si parte da Knewborth e a Knewborth si ritorna) dell'omaggio alla band inglese ma dimostrano anche che l'intento di Mat Whitecross lo supera, spingendosi oltre. 

Nell'Agosto 1996, gli Oasis, band che fino a tre anni prima suonava nei sobborghi inglesi, fu protagonista di qualcosa mai visto prima. I concerti a Knewborth con un pubblico di 250.000 persone (e 2 milioni e mezzo di persone alla ricerca dei biglietti) furono gli eventi più seguiti e desiderati del periodo. Al culmine del successo, gli Oasis erano diventati l'unica band al mondo che contava, senza alcun concorrente che potesse minimamente minacciare il successo dei fratelli Gallagher. Ma cosa si nasconde dietro questa ascesa planetaria?

L'intero documentario è costruito su materiale di repertorio, con i due cantanti e i restanti membri della band che intervengono tramite le loro voci. Il mancato consenso di Liam e Noel a farsi intervistare insieme ha spinto i realizzatori del film ad optare per le voice-over che danno agli spettatori la sensazione di un dialogo a due. La prima parte del documentario è, senza dubbio, la più preziosa e la più emozionante, incentrata com'è sulla nascita della band dominata dai Caino ed Abele della musica. Si respira tutta l'aria delle zone popolari di Manchester da cui provengono i due fratelli, sensazione che è ulteriormente stimolata dalla scelta di inserire, durante l'arco narrativo, irriverenti animazioni che restano fedeli allo spirito del gruppo. I sostanziosi 120 minuti del documentario ruotano attorno al rapporto tra Liam e Noel, riuscendo a sfruttare i litigi e le riappacificazioni tra i due come plot-point della narrazione. E così via fino al fallimentare concerto del 1994 al Whisky A Go Go di Hollywood, durante il quale Noel ha lasciato un pezzo di sè su quel palco, quella sera. Ancora il successo in Giappone e la fama dilagante in Inghilterra. Eventi che non scalfiscono minimamente la voglia del gruppo di fare buona musica per i fan piuttosto che musica elegante per i critici e di lanciare messaggi buonisti. I due fratelli sono troppo scomodi per vivere insieme nello stesso gruppo, vittime di un'infanzia caratterizzata dall'abbandono del padre, che picchiava la madre, e dalla chiusura in se stesso di Noel che, a differenza di Liam, preferiva vivere in solitudine. Ne deriva un ritratto degli Oasis come di un gruppo caratterizzato da due anime opposte. Le stesse che, in fin dei conti, animano i sistemi analogici e quelli digitali. Forse, risulta essere un po' semplicistica l'accusa finale nei confronti delle tecnologie digitali che portano la musica dappertutto e dell'industria musicale, cui viene imputato lo schiacciamento di sound posteriore a Knewborth e la commercializzazione della band, ridotta sempre più a mero brand. 

Ma questi piccoli difetti non si rimproverano a Whitecross. La wilderness, il titanismo e la romantica follia dei fratelli Gallagher sono tutti stati restituiti dal documentario e lievi problemi nella loro gestione non fanno altro che riflettere il comportamento e il carattere degli Oasis, eccessivi e sfrenati ma sempre consapevoli del fatto che la loro buona musica sarebbe rimasta a vita e che nulla sia più bello di un concerto, di una pinta di birra e di una bella ragazza. Le ragioni per cui hanno iniziato a fare musica.

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